Si sta per chiudere la stagione 2012-1013 del Teatro Talia di Tagliacozzo (AQ). Mancano solo due appuntamenti: uno teatrale, lo spettacolo “La calata del Santo a tre gambe” (sabato 08 giugno), l’altro musicale, il concerto di giovani musicisti del Conservatorio “A. Casella” di L’Aquila, dal titolo “Talenti per il Talia” (sabato 22 giugno).
Sarà anche la fine della gestione triennale del teatro, da parte di Orchestra Teatralica, vivace realtà teatrale nata a Roma nel 2007, ma con radici tagliacozzane (oltre che romane e trapanesi). La gestione del Teatro Talia da parte di Orchestra Teatralica si è svolta in collaborazione con il Centro Culturale Eidos (di Giulianova, TE). I direttori artistici del Teatro Talia, infatti, sono Giovanni Avolio e Loredana Iannucci, rispettivamente presidente di Orchestra Teatralica, il primo, e presidente del Centro Culturale Eidos, la seconda.
La stagione 2012-2013 del Talia (teatro che già nel nome rimanda alla musa della commedia, Talia appunto, che, secondo la leggenda, avrebbe trovato rifugio in una roccia nei pressi delle risorgenti del fiume Imele) si è aperta l’08 dicembre scorso e ha visto l’alternarsi di spettacoli comici e concerti, in un cartellone dal titolo “Il castello di carte”.
L’08 giugno sarà in scena l’ultimo spettacolo teatrale, “La calata del Santo a tre gambe”, tratto dal romanzo di Andrea Buoninfante (autore, attore, musicista… oltre che responsabile amministrativo e organizzativo di Orchestra Teatralica) ed interpretato da Giovanni Avolio, accompagnato dal musicista Franco Pietropaoli.
La pièce è legata a doppio filo alla città di Tagliacozzo.
“La Calata del Santo a tre gambe”, infatti, è un romanzo “giallo antropologico”, come lo definisce l’autore Andrea Buoninfante ed è ambientato a Tagliacozzo. E’ uscito nel 2009 per Effequ, una casa editrice toscana, e ha incontrato subito il favore dei tagliacozzani, al punto che la direzione artistica del Festival Internazionale di Mezza Estate, nella persona di Lucia Bonifaci (con la consulenza di Gabriele Ciaccia), ha deciso di produrne subito una riduzione teatrale che è andata in scena in anteprima durante l’edizione del 2010 del festival. Ad occuparsi della regia e dell’interpretazione c’era Giovanni Avolio che oggi riprende lo spettacolo per sottolineare il senso del triennio di gestione della struttura marsicana, che sin dall’inizio ha cercato un costante dialogo con le tradizioni e la cultura del territorio.
Un vecchio rimbambito viene trovato impiccato nella sua casa…ma tocca con i piedi per terra. Un noir in cui fanno da sfondo un’antica e misteriosa processione, le “razze” dei cittadini di Castromarso (cittadina dal nome fittizio in cui è riconoscibilissima Tagliacozzo) e dei personaggi che si aggirano per il paese mettendo in ridicolo la potente famiglia locale.
Il “giallo” che è alla base dell’intrigo funziona come una sorta di collante per indagare e raccontare le dinamiche che soggiacciono alla convivenza di una micro comunità di provincia: le omertà, gli antichi rancori mai sopiti, le rivalità familiari, ma anche l’orgoglio di una cultura e di un attaccamento alle tradizioni. Il simbolo cercato dall’autore per rendere tutto questo è un’antica processione pagana, caratterizzata da una certa violenza (che fa il verso a tanto folklore del sud Italia), a scorta di un misterioso “Santo Trigambe”, invenzione che tanto deve alla leggenda legata a un curioso chirurgo dei miracoli citato dallo storico Gattinara nella sua “Storia di Tagliacozzo” del 1894, certamente confuso con il medico bolognese Gaspare Tagliacozzi, inventore della rinoplastica.
Nella vicenda, piuttosto grottesca, si intrecciano le storie d'amore di giovani del luogo alla ricerca di un pornodivo; un losco "prete bello" che si aggira per le campagne importunando le fedeli; una serie di disgustosi attentati alla famiglia più in vista del paese… ma l’aspetto che più intriga, quello in cui maggiormente si riconosce il paese marsicano, è l’attitudine a riconoscere le famiglie non con i cognomi, ma con le “razze”, che sono delle specie di soprannomi che si tramandano le generazioni.
Andrea Buoninfante, autore del testo, racconta “La calata del Santo a tre gambe” e tira un bilancio della gestione del Teatro Talia da parte di Orchestra Teatralica… Ma mi raccomando: non chiamatelo “scrittore”!... Leggete il perché!
Mi incuriosisce il titolo: “La calata del Santo a tre gambe”. Perchè “a tre gambe”? In che senso?
È esattamente quello che sembra, in realtà! ...Anche se poi è molto più complesso!
È un’idea che mi è venuta perchè c’è un pezzo del libro della “Storia di Tagliacozzo” di Gattinara in cui si fa riferimento a un medico che lui chiama Tregambi e che in realtà sarebbe Gaspare Tagliacozzi. Lì, c’è tutta una storia dietro questo Gaspare Tagliacozzi. L’unica cosa che mi aveva incuriosito è come c’era la possibilità, secondo Gattinara, che questo Tagliacozzi fosse di Tagliacozzo proprio perchè si chiamava così (in realtà, lui era di Bologna!). E per dimostrarlo diceva che Tagliacozzi non era il cognome, ma un genitivo d’appartenenza, per cui doveva essere di Tagliacozzo. E dovendo inventare un cognome per dire che appunto non era Tagliacozzi il cognome, ha inventato Trigambi, un cognome che non esiste.
Io, incuriosito da questa cosa, ho pensato “immaginiamo che non era un medico, ma un santo!”, per il quale il procedimento era lo stesso, insomma, che ha inventato Gattinara. E così ho inventato tutta una storia che trae spunto da questo fatto e prosegue […].
Sia il medico che il Santo sono due figure importanti nelle città di provincia, sopratutto in quelle di una volta...
Sì, esatto! C’è una volontà proprio di farsi grande, di fare grande una città attraverso l’utilizzo di personaggi storici che potevano essere Santi, medici,... insomma, grandi personaggi e farlo con questo cognome è veramente beffardo, secondo me, nei confronti della storia. È una cosa che a me è piaciuta. Io non la critico. C’è molto orgoglio nel romanzo e anche nella trasposizione teatrale. Cioè: c’è molto orgoglio provinciale, molto orgoglio della tradizione e della cultura marsicana.
Tu sei di Tagliacozzo?
Io sono di Tagliacozzo, sì!
[…] tutto quanto è scritto lì è inventato di sana pianta; ma tutto trae origine dalla verità, per cui si riconoscono tante cose pur avendo dovuto inventare. Anche il paese non lo chiamo così, lo chiamo Castromarso, non Tagliacozzo. Ma si capisce che è Tagliacozzo, insomma!
Mi piaceva, ecco, rendere il “modo” di raccontare e le “modalità di trasmissione culturale” nostra, senza mettere fatti realmente accaduti,... anche se poi ne ho messi parecchi realmente accaduti, senza volerlo perchè non lo sapevo, allora, che erano accaduti!
Nel cast chi c’è?
Il romanzo è un romanzo corale. Ci sono un’infinità di personaggi e ci è piaciuto giocare su questo.
Per cui si occupa di tutto un solo attore [Giovanni Avolio, ndr], che è anche il direttore artistico del Talia, che interpreta tutti i personaggi. Ne interpreta 23, da solo! Insieme a lui c’è un musicista [Franco Pietropaoli, ndr] che in realtà, è molto più di un musicista perchè parla anche con l’attore. Insomma interagisce.
Ma è lui che interpreta tutti i personaggi. E anche le voci fuori campo […]
La regia è di Giovanni Avolio. Sempre lui.
Io sono l’autore del libro e co-drammaturgo. La riscrittura del romanzo l’abbiamo fatta insieme, insomma, per la versione teatrale perchè quella del romanzo è veramente molto complessa. […]
Voi di Orchestra Teatralica lavorate anche a Roma. Quale è la differenza tra lavorare in provincia e lavorare nella Capitale, che è anche uno dei centri teatrali più importanti d’Italia?
[…] in realtà si lavora molto meglio in provincia, nel senso che a Roma è una babilonia, oramai! C’è un’enorme offerta e pochissima domanda. Parlando di mercato, ci sono moltissimi che fanno teatro e molta poca gente che va a teatro. […] abbiamo lavorato meglio in provincia […] anche per l’idea nostra che abbiamo di teatro e di cultura. […]
In realtà […] Tagliacozzo, sopratutto, è un paese molto complesso dal punto di vista culturale. È molto chiuso […].sopratutto d’inverno. D’estate è un’altra cosa! Ma il teatro è frequentato sopratutto da romani, da gente che viene da fuori. Il tagliacozzano, insomma, non si muove […] Noi questo lo sapevamo anche tre anni fa quando abbiamo cominciato quest’avventura […] devo dire la verità, in tre anni ci eravamo posti l’obiettivo di migliorare sempre di più, con i laboratori, con gli spettacoli di un certo tipo... Dobbiamo dire che alla fine ci aspettavamo molto di più, però qualche obiettivo lo abbiamo raggiunto, nel senso che è molto migliorato. Questa terza stagione è andata meglio delle due precedenti e la seconda è andata meglio della prima. Insomma, siamo cresciuti […] È stata una gara d’appalto che ha assegnato il teatro per il triennio. Ove ci fosse un’altra gara d’appalto noi non parteciperemo, credo, perchè è anche giusto, insomma, avere degli obiettivi e darsi un limite. Ci è piaciuto radicarci nel territorio e lo rimarremo sempre (anche in questo territorio!), però è anche giusto “muoversi” […]
Tu credi che la Marsica in campo teatrale, rispetto al passato, stia crescendo?
Non so la Marsica. Invece vedo un certo fermento. Non tanto a Tagliacozzo, naturalmente, che è un po’ staccato dal resto perchè noi sentiamo molto l’influenza di Roma. Siamo vivi molto d’estate […] Io penso che la Marsica abbia un problema atavico che è quello di una certa chiusura che la tiene un po’ stretta. Se riuscissimo a superare alcuni limiti che abbiamo nei confronti dell’accettazione dell’altro, ad esempio, perchè noi difficilmente accettiamo il lavoro che viene da fuori. […] E infatti la gente, quando facciamo cose che riguardano il territorio fatte da gente del territorio, risponde molto meglio […]
Nella stagione teatrale 2012-2013 avete messo in cartellone molti spettacoli comici e qualche concerto. L’avete realizzata così proprio per questo fatto legato al territorio, oppure li avreste messi comunque, come un interesse proprio di Orchestra Teatralica?
Dunque: di fatto sì. Noi siamo legati a una certa idea di teatro leggero, anche comico (come artisti, diciamo, come compagnia!) […] veniamo anche da quello, veniamo dal teatro di strada, veniamo da quella cultura.
La scelta è stata anche per rispondere a una domanda del territorio. E comunque è l’esisto di un discorso di tre anni. Abbiamo visto che incontrava meglio il favore del pubblico per cui abbiamo scelto anche di farlo.
[…] non è male far incontrare un certo tipo di teatro alla gente. Tanto più che era di ottima qualità. La comicità che abbiamo portato noi era forse diversa da quella che si vede in giro. Non so, c’era lo spettacolo di Daniele Fabbri che è uno dei comici migliori, secondo me, adesso che girano. Molto lontano dalla comicità televisiva, dal cabaret televisivo e invece molto cinico, molto più vicino alla comicità americana. È un qualcosa che manca qui in Italia, ché siamo legati a un cabaret più tipo Bagaglino, eccetera. Anche il resto delle scelte è comunque una comicità molto diversa da quella che si vede in televisione. E l’abbiamo scelto proprio perchè sapevamo che avrebbe incontrato il pubblico e anche per fargli vedere qualcosa di molto diverso da quello che si vede in televisione. Ecco, almeno ci poniamo in alternativa alla televisione. E non è male!
Tu sei scrittore, quindi, immagino, leggerai molto. A cosa ti ispiri? Ho notato che scrivi cose comiche che, però hanno anche a che fare con la vita di tutti i giorni, quindi sei molto attento, diciamo, al sociale.
Diciamo che è esattamente questo. Innanzitutto, attenzione alla parola “scrittore”. “Scrittore” è una cosa seria. Ci sarebbe tutto un discorso antico da fare. Io mi definisco “autore”.
Io non credo che sia la scrittura che si ispiri alla realtà. Ma viceversa è la realtà che si ispira alla scrittura. Questo è uno dei miei capisaldi, proprio. Ce l’ho da sempre chiaro. Perchè la storia è da sempre quello che influisce sul modo di vivere, non il libro, non il romanzo, ma la storia in generale, il “raccontare” storie. Questo è sempre stato così dal tempo del mito.
È quello che modifica la propria cultura e quindi il proprio modo di vivere. Per cui chi è scrittore è colui che scrive la vita. Per cui, non sono io!
E quelli che riescono a modificare la vita degli altri, quelli sono “scrittori”. In qualche modo anche minimo. Dunque, io non lo sono! Sono un “autore”, semmai.
Dopodichè, io dico: la mia fonte di ispirazione? Sì, io leggo tantissimo. Ma dovendo scegliere qualcuno non sceglierei gli autori, ma sceglierei il vicino di casa, il macellaio, il fruttarolo,... questi sceglierei perchè è di loro che scrivo. Perchè sono una fonte veramente inesauribile.
Il romanzo, questo qui, è scritto su quello che c’era in giro. Bastava sentire il macellaio sotto casa.
L’altro libro che ho scritto [“Con sincera inimiciza”, ndr], ad esempio, è un epistolario. Sono lettere vere perchè sono scritte su persone vere […] E’ proprio perchè la storia e la realtà, il raccontare storie e la realtà, si intrecciano continuamente e ci si può ispirare tranquillamente alla vita quotidiana che a sua volta si ispira al modo di raccontarci.
Dico questo perchè scomodare, poi, scrittori importanti è sempre problematico.
Grazie, Andrea!